venerdì 13 gennaio 2012

Solo per sei imprese su cento l´articolo18 frena la loro crescita


Sondaggio Confindustria. Pd e sindacati contro la riforma 
Nella bozza del piano Monti, si eleva a 50 dipendenti, in caso di fusioni, la soglia sotto la quale non c´è il reintegro 


di LUISA GRION


ROMA - In realtà non è mai uscito di scena, ma ora - con la bozza che circola sulle liberalizzazioni - l´articolo 18 torna prepotentemente alla ribalta. Secondo le anticipazioni il governo intenderebbe allargare il confine entro il quale la norma non trova applicazione: se le ipotesi saranno confermate, in caso di fusione fra due imprese la regola sul licenziamento (ammesso solo per giusta causa e giustificato motivo) non sarà applicata alla nuova azienda purché non superi i 50 dipendenti (oggi la soglia è fissata a 15). La novità è arrivata come un fulmine sulla già delicata trattativa attorno alla riforma del mercato del lavoro coalizzando i sindacati e fornendo alla Confindustria i motivi per ritornare sul tema. Anche se un sondaggio effettuato dalla associazione stessa dimostra che, secondo le imprese, se la crescita non arriva la colpa non è degli ostacoli all´uscita dal lavoro, ma della domanda scarsa e dell´insufficienza di capitali.
LE IMPRESE
Per Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria, l´articolo 18 e l´obbligo del reintegro del lavoratore licenziato non per giusta causa è «la più grave anomalia» che l´azienda possa incontrare nella sua volontà di assumere. «Oggi è giunto il momento di eliminarla, per promuovere un´occupazione stabile e di qualità» ha detto. Una posizione che sembrerebbe non sovrapporsi alle sensazioni espresse dalle aziende, visto che in un sondaggio della stessa Confindustria, fra le cause del mancato ampliamento gli iscritti mettono al primo posto l´insufficienza delle domanda (segnalata dal 48,5 per cento del campione), seguita dalla mancanza di capitali (47,9). Gli ostacoli sindacali stanno all´ultimo posto della classifica (6,5 per cento)
I SINDACATI
Sono di parere totalmente contrario. «Vorremo vederli quei padroncini che corrono a fondersi tra loro perché finalmente non devono rispettare un articolo 18 che non hanno mai avuto» twitta la Cgil. Fulvio Fammoni, segretario confederale, contesta sia l´idea di anomalia, che lo stesso Bombassei. «L´Ocse segnala che la rigidità in uscita colloca l´Italia al di sotto della media europea e che il nostro Paese non costituisca affatto un caso anomalo» precisa. Quanto al vicepresidente di Confindustria si chiede: «Ma è lo stesso Bombassei di ieri quello che parla oggi? Ieri affermava che l´articolo 18 non è il tema da portare al tavolo, ora dice che va eliminato. Così, come si può essere credibili?». Contrari a qualsiasi modifica della norma sono anche i leader di Cisl e Uil. «Non si tocca, non è oggetto della trattativa con il ministro Fornero - commenta Raffaele Bonanni - è davvero singolare trovare quel tema in un bozza sulle liberalizzazioni che non è stata oggetto di confronto sulle parti sociali». Stessa linea per Luigi Angeletti della Uil. «Francamente non vedo alcun disastro per nessuno nell´avere l´articolo 18 così com´è».
IL PD E IL PDL
Se sulla questione il sindacato (Ugl compresa) si unisce, la politica si divide. Per Giuliano Cazzola, vicepresidente Pdl in Commissione lavoro alla Camera «se la bozza sulle liberalizzazioni fosse confermata la norma sull´articolo 18 sarebbe sicuramente utile» perché «rappresenta un ostacolo alla crescita delle imprese». Per il leader del Pd Pierluigi Bersani la norma invece non va toccata. «Sul lavoro abbiamo una proposta innovativa che consente di ridurre la precarietà e dare flessibilità senza toccare l´articolo 18. Oggi il problema è come si assume non come si licenzia».


 Repubblica del 13/01/2012

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